Restare soli e lo Stare soli
Tra il restare soli e lo stare soli c'è un mondo intero.
Restare soli è una condanna dolceamara, una ferita aperta che brucia.
Tra il restare soli e lo stare soli c'è una soglia di vento, un confine sospeso di un ricamo antico. Restare soli è come un temporale che si addensa all'orizzonte, un buio che avanza lento e ti avvolge. È un vuoto che rimbomba nel petto, un eco che non trova pace e si perde in stanze senza porte. È un abisso che chiama per nome, e la risposta si perde in un sussurro.
Stare soli, invece, è un atto d'amore verso se stessi, una tregua dall'incessante frastuono del mondo. È l'arte del raccogliersi. È sprofondare nella profondità dei propri sguardi, riconoscere negli occhi riflessi mille vite passate, come se ogni istante fosse già stato vissuto e ogni solitudine fosse stata un ritorno. Stare soli è un respiro profondo che scioglie le catene, un abbraccio invisibile che accoglie l'anima ferita e la culla fino a che non si rimargina ogni cicatrice.
C'è una danza nascosta tra questi due estremi, una melodia dolce e struggente che risuona nell'aria rarefatta. È una linea d'ombra che accarezza il volto, una penombra in cui ci si perde e ci si trova, senza sapere più se si stia cercando la fuga o l'approdo. Restare soli è l'attesa che si srotola lenta come una sera d'inverno, mentre stare soli è l'alba che sorge nel cuore della notte, quando le stelle iniziano a sbiadire e si intravede la luce che risveglia la pelle.
Tra il restare soli e lo stare soli, forse, non c'è differenza. Forse è solo un passaggio, un ponte sospeso sul nulla, un battito d'ali in cui ogni cosa scompare per poi ritrovarsi diversa, più vera, più nuda. E in quella nuda verità, c'è la pace di essere semplicemente ciò che siamo: frammenti di cielo che danzano sul filo di una solitudine che non è mai davvero solitudine, ma solo un modo diverso di ascoltare il proprio respiro.